Con un mandolino alla conquista dell’Irlanda: Julyo’s got talent!
Julyo D’Agostino racconta la sua musica e la sua vita artistica in un'intervista a cuore aperto.
Julyo D’Agostino, genovese di nascita ma cosmopolita per scelta, è un musicista e compositore eclettico, polistrumentista. È partito alla conquista del mondo dalla nostra Liguria, facendosi apprezzare in America ed in Giappone e ora è alla conquista dell’Isola di Smeraldo.
L’ho incontrato durante il suo recente concerto sold out al Rockwood Hall a New York ed è stata una rivelazione. Mentre sorseggiavo il mio Hendrick’s tonic, ecco cosa mi ha raccontato.
Julyo, innanzitutto congratulazioni per il tuo nuovo album ‘Mandolino Italiano’. I suoni ricordano proprio i colori ed i profumi di casa, soprattutto l’allegria della pizzica e della tarantella. Sei polistrumentista, perché il mandolino questa volta?
«Grazie, con ‘Mandolino Italiano’ continua la mia ricerca per una “musica assoluta” che riesca a unire tradizioni musicali dei cinque continenti su un unico palco, un pò come bella World Music ma con focalizzato sul folk puro. Il mandolino, in particolare quello italiano, è uno strumento che per me rappresenta l’unione tra la musica classica e “colta” di un Vivaldi e la musica folk “popolare” della tradizione Italiana. Uno strumento che unifica tradizioni e culture vecchie di secoli ed ha una sonorità immortale, sfortunatamente poco apprezzata in Italia.»
Sei stato impegnato con il tour Europeo, quali paesi hai toccato? E quando ti rivedremo in Italia?
«Ho suonato in Irlanda e Ungheria e negli Stati Uniti. Per ora nulla di pianificato in Italia anche se non escludo la possibilità di tornare per qualche data la prossima estate.»
Il pubblico di New York è entusiasta, il Rockwood Hall stasera è sold out! Ti aspettavi questo successo?
«Sono molto felice e qui negli Stati Uniti ho un piccolo seguito di fedelissimi da ormai otto anni.»
Nel corso della tua carriera hai affiancato e accompagnato grandi nomi della musica da Armando Corsi, Mike Mangini, Mark Mangold, Michael Maccini e ancora il nostro Vinicio Capossela e non ultima la boy band che ha fatto impazzire la mia generazione, i Take That. Com’è calcare il palco con i grandi? Lo hai mai considerato un arrivo?
«Suonare e collaborare con popstar e rockstar è qualcosa che capita nella mia vita quasi casualmente da ormai una decina d’anni. Semplicemente piace il mio modo di suonare e comporre musica e l’unica cosa che mi assicuro succeda è far circolare la mia musica il più possibile ed essere aperto a nuovi progetti e sfide artistiche. Per me il più grande traguardo è sentire il pubblico parte del concerto, dove il musicista è uno sciamano delle emozioni.»
Chitarrista, pianista e compositore, in quale di queste definizioni ti senti più a tuo agio?
«Sicuramente compositore, sentendo le categorie di chitarrista o musicista come delle limitazioni pur amando gli strumenti che suono. Catturare emozioni su partiture musicali e trascrivere sogni in musica sono stati parte della mia vita sin da bambino. I miei eroi musicali sono sempre stati compositori prima che strumentisti.»
La Repubblica di te ha detto “… una chitarra che disegna le stelle”. Chitarra che ti ha fatto conquistare prima New York e poi il Giappone. Ci parli di questa esperienza?
«Alla musica devo tutto. Lasciai l’Italia a 18 anni e sin da allora ho viaggiato solo quando qualcuno mi ha contattato per una performance dal vivo o una registrazione in studio. In questi ultimi quindici anni ho avuto l’onore di vivere in tre continenti e sentirmi parte della cultura di New York, Tokyo, Londra, Lisbona e naturalmente Dublino.»
Sei un artista pluripremiato all’estero. Per citarne uno, nel 2006 hai vinto l’International Award for Best Music Score al New York Independent Film Festival per il film ‘Photosonic’. Credi che questo sarebbe stato possibile in Italia?
«Forse sì, in fondo i premi sono importanti per la crescita personale e per il curriculum però sicuramente in Italia avrebbe richiesto molti più anni di carriera.»
Hai inventato e brevettato la chitarra ‘photosonica’, di cosa si tratta?
«La chitarra fotosonica nacque come progetto sperimentale durante la fine del 2003 a Copenhagen in Danimarca. È uno strumento musicale che utilizza un particolare software in grado di trasformare il suono in colore. Alcune persone “sentono la musica in colori”, la chitarra fotosonica ed il progetto fotosonico permettono di provare questa esperienza dal vivo.»
Attualmente vivi a Dublino. L’Irlanda è considerata terra di magia e patria della musica indipendente. In cosa si differenzia la verde e magica Dublino dall’eclettica New York?
«L’Irlanda è a misura d’uomo, Dublino una piccola Londra dove la musica è ancora rispettata e vissuta come un’esperienza di condivisione e celebrazione della vita. Pur mancando una struttura del business musicale, Dublino e l’Irlanda offrono tantissime possibilità all’artista indipendente che si sa autogestire. New York dall’altra sponda dell’Oceano è una metropoli dove la musica è un business e dove c’è una struttura ben definita ma poco spazio per la sperimentazione o ricerca di nuovi stili.»
Nell’immaginario collettivo, New York è la città perfetta per i musicisti. Perché hai scelto Dublino?
«Dublino è una piccola città della musica, un mondo dove la musica è ancora a contatto con la società e dove l’assenza di una struttura musicale ha reso l’artista completamente indipendente e fautore del suo destino.
New York è la metropoli che ora si è trasformata in una “macchina dell’intrattenimento”, dove si perde il contatto con la realtà per diventare dei professionisti dell’arte. Sicuramente è la miglior scuola di vita per un artista all’inizio quando deve imparare a maturare un’ identità in un oceano di talenti allo sbaraglio.
Nel mio caso il passaggio da New York a Dublino è avvenuto dopo più di un decennio passato a vivere tra New York, Tokyo e Copenhagen, tre metropoli molto diverse tra loro dove il lavoro come turnista musicale era ottimo ma la maturazione artistica personale ne stava risentendo. Ora a Dublino riesco ad essere vicino alle capitali d’Europa ed allo stesso tempo fuori, perfetto per entrare in contatto con se stessi.»
Gli Irlandesi ti hanno recentemente visto sul canale gaelico TG4 come concorrente del programma Basker Abù, una sorta di Ireland’s Got Talent in gaelico. Com’è andata?
«E’ andate bene: è un programma che vede in gara i Top Busker d’Irlanda. Una delle cose belle di Dublino è che fare la musica per strada è considerata un’arte ed io suono spesso a Grafton ed Henr Street! Ho suonato il pezzo irlandese ‘Galway Girl’ di Steve Earle e ne ho fatto una versione strumentale per mandolino.»
Possiamo dire che hai conquistato l’Irlanda?
«Restiamo in attesa e nel frattempo incrocio le dita!»
Concludo con la domanda con cui chiudo tutte le mie interviste: Qual è l’X Factor che un giovane dovrebbe avere per avere successo come te?
«Sicuramente la capacità di osare di andare aldilà di ogni limite o inutile pregiudizio che troppo spesso le nuove generazioni di artisti si pongono ancora prima di salire su un palco o registrare delle idee. Superato il limite è importante mantenere l’umiltà e l’obbiettività di chi capisce l’importanza che ha il pubblico nel mestiere del musicista: suonare per il proprio piacere o per gli amici è una cosa molto diversa dal suonare dal vivo davanti a centinaia o migliaia di persone che non conosci ma che per una bellissima magia si sentono unite da canzoni o composizioni di suoni ed emozioni.
Se dovessi usare una frase per un musicista alle prime armi direi: spegnete il computer, uscite di casa ed andate a suonare ovunque, soprattutto in posti dove non siete mai stati!»
Il mio Hendrick’s tonic nel frattempo è finito. Julyo torna sul palco ed il suono della sua chitarra inonda il Rockwood Music Hall con il suo assolo. Prossima tappa: Dublino e la battaglia dei buskers più bravi d’Irlanda.
Intervista a cura di Maggie Arandela Romano
Maggie è una giornalista pubblicista e blogger che scrive di musica, libri, cinema cultura e spettacolo. E’ contributor di vari magazine per la carta stampa, è stata editor del quotidiano ‘La Voce’. Amante dei viaggi, vive tra Dublino, Bologna, Roma e New York. E’ attualmente impegnata a scrivere il suo primo romanzo.