La recensione di ‘The Hunting Party’ – Linkin Park

Cube Magazine ha ascoltato per voi il nuovo disco dei Linkin Park, 'The Hunting Party', uscito qualche giorno fa: ecco cosa ne pensiamo.

The Hunting Party Linkin Park_Cover

Uscita: 17 Giugno 2014
Etichetta: Warner Bros. Records
Singoli: ‘Guilty All The Same’ / ‘Until It’s Gone’

C’è una sorta di “guerra musicale”, quella raccontata nell’ultima fatica in casa Linkin Park, il disco ‘The Hunting Party‘, il primo dal 2003 prodotto da Rick Rubin. Come annunciato, l’album segna per la band una sorta di ritorno alle origini, ma senza mai dimenticare il percorso fatto lungo questi anni, gettando dardi infuocati in ogni direzione. Un disco certamente coraggioso, in cui vengono attaccate le etichette discografiche, i politici ma anche gli ex, il tutto supportato da un tappeto di chitarre prorompenti.

La band, prima dell’uscita, descrisse questo ‘The Hunting Party‘ come una sorta di prequel di ‘Hybrid Theory’, l’album di debutto che li consacrò nel 2000. Ed infatti, non c’è quasi traccia degli esperimenti fatti nell’ultima decade con i synth e l’elettronica in genere, la formazione ha voluto dare spazio ai suoni rudi ed aggressivi che si intrecciano con le taglienti liriche, mostrandoci una band forte e pronta ad una nuova battaglia.

L’album si apre con la traccia ‘Keys to the Kingdom’, una scelta intelligente: la batteria martellante e l’urlo — “No control! No surprise!” — ci preparano al disco. Una traccia che ha un’impronta decisamente nu-metal, come lo erano i Linkin Park degli inizi. Seguono le energiche ‘All for Nothing’ e ‘Guilty All the Same‘, canzone scelta per presentare il disco ai fan, che mixa gli inevitabili elementi hip hop – dovuti anche alla presenza della leggenda del rap Rakim – ed il metal, che assume tratti quasi sinfonici.
Tocca ora a ‘The Summoning‘, lunga un minuto esatto, una sorta di introduzione al pezzo successivo incaricata di accrescere la tensione, prima di dare spazio alle note di ‘War‘, un pezzo dall’impronta quasi punk che mi ha rimandato alla mente il sound dei Bad Religion.
Da spazio al rap di Shinoda, ‘Wastelands‘, mentre nel nuovo singolo ‘Until It’s Gone’ rispunta quel synth tanto amato ai tempi di ‘Numb’. Un riff davvero notevole – forse il più notevole del disco – è quello che introduce ‘Rebellion‘, complice anche la collaborazione con il chitarrista Daron Malikian dei System Of A Down. ‘Mark the Graves’ parte con un’ingannevole intro atmosferica alla U2, che poi esplode in una batteria punk supportata da chitarre pungenti.
Segue ‘Drawbar‘, che segna la collaborazione della band con Tom Morello, con un grande spazio all’instrumental e decise sonorità rock. Tornano i synth in ‘Final Masquerade’ che anticipa la chiusura con ‘A Line In the Sand’, un pezzo dalla chiara matrice politica.

Un album che non rientrerà tra i capolavori della musica rock, ma che certamente merita attenzione in questo particolare periodo storico. I Linkin Park hanno deciso di rischiare e di questo dobbiamo dargliene credito, ed invece che adagiarsi su un sound collaudato – certi che pubblico e critica avrebbero apprezzato – hanno deciso di fare un passo indietro, creando un disco genuino, potente e sincero.

Tracklist:
1. Keys to the Kingdom
2. All for Nothing (feat. Page Hamilton)
3. Guilty All the Same (feat. Rakim)
4. The Summoning
5. War
6. Wastelands
7. Until It’s Gone
8. Rebellion (feat. Daron Malakian)
9. Mark the Graves
10. Drawbar (feat. Tom Morello)
11. Final Masquerade

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