Intervista a Raphael Gualazzi: ‘Vi porto nel mio Happy Mistake’

Il nuovo tour di Raphael Gualazzi è in partenza in questi giorni, e Cube Magazine vi propone l'intervista avuta con il cantautore in occasione del Festival di Sanremo.

Raphael Gualazzi è sicuramente uno dei talenti più apprezzati della nuova generazione di musicisti. Scoperto dal Festival di Sanremo del 2011, ha immediatamente raccolto un folto pubblico nel tour che è seguito alla vittoria nella categoria nuove proposte. Dopo 24 mesi, è ritornato sul luogo del “delitto” per presentare i suoi nuovi brani e lanciare il lavoro discografico appena messo in distribuzione. Proprio all’Ariston ha concesso questa intervista nella sala stampa.

D: Raphael, tu sei figlio d’arte. Che ruolo ha avuto tuo padre nell’arricchimento della tua carriera?
«La prima cosa che mi ha favorito è stata avere una grande discografia in casa. Ho avuto la possibilità di avere a disposizione moltissimi generi musicali e non solo quelli che andavano di moda in quel momento. Posso dire di aver ascoltato un po’ di tutto, dal jazz, ai Deep Purple, ma ho avuto anche una buona dose di musica progressiva, di classica ed anche di latina con Segovia. Poi sono andato al Conservatorio, dove ho fatto il percorso classico. Dopo il diploma ho iniziato a suonare in gruppi rock, in altri blues. Sicuramente nella prima parte del mio percorso, mio padre mi ha seguito come se fosse un manager. Lui mi indirizzava verso altre strade al di fuori della musica, poi ha scelto di assecondare le mie aspirazioni. Poi ha lasciato che camminassi con le mie gambe. Ho fatto le mie esperienze nazionali e internazionali, ho firmato contratti discografici ed oggi sono qui».

D: Non hai mai pensato di partecipare a qualche Talent, cercando magari di sfondare “prima”?
«Ho scelto di fare tanta gavetta, non ho percorso la strada “facile” dei talent show. E’ stato un percorso forse più difficile che mi ha consentito di entrare in contatto con tante persone e tanti autori stimolanti. Alla base della carriera di un musicista ci deve essere la condivisione. Per fare un esempio posso parlare dei miei inizi, quando scelsi di scrivere solo in inglese. Poi incontrai molti altri autori con i quali ho condiviso punti di vista e alla fine ho iniziato anche a scrivere in italiano».

D: Che spazio hanno la poesia e la religiosità nei tuoi testi?
«Amo molto la poesia e non finisco mai di leggerla per trarne insegnamento. Non ho in questo senso una cultura estremamente approfondita, ma abbastanza diffusa. Amo Ungaretti, Palazzeschi, Pascoli ed è bello studiare il loro modo di utilizzare la lingua. La lingua italiana è una delle più belle al mondo e all’estero è vista come esempio di stile ed è musicale anche senza note. Sul fronte religioso, dico che sono cattolico e battezzato e credo di avere un mio percorso personale nella fede, così come fanno un po’ tutte le persone. Questo percorso, tuttavia, non credo si adatti al mio modo di fare musica».

D: Dopo due anni sei tornato a Sanremo. Sei un artista che regala grandi emozioni non credi che il palco dell’Ariston sia un po’ fuori luogo per il tuo modo di fare musica?
«In realtà non ho mai avvertito l’esigenza di partecipare ad una gara. A me fa piacere pensare di essere vincitore in ogni modo, perché in occasione del Festival è la musica in genere a vincere, attirando l’attenzione dei media. La musica vuol dire cultura e spesso questo patrimonio viene dimenticato da tutti. Qualunque riscontro positivo o anche un semplice complimento sarà sufficiente per gratificare me e la mia carriera. Il mio obiettivo era ed è migliorare il mio percorso in termini qualitativi».

Il tuo percorso musicale è coinciso anche con il ritorno dell’Italia all’Eurofestival..
«E dico di più siamo tornati con un brano jazz che ha ottenuto il premio della critica ed un secondo posto nella classifica finale. Un brano completamente al di fuori della filosofia della manifestazione. Io credo che al di là di tutto l’Eurovision Song Contest sia un festival meraviglioso che può essere un luogo di condivisione musicale e non semplicemente una gara o una macchina da guerra per le case discografiche. E’ importante che l’Italia abbia ripreso a partecipare, perché c’è la possibilità di portare la nostra cultura in paesi che non aspettano altro. Il Made in Italy è estremamente apprezzato in Europa e in tutto il mondo».

D: Da qualche settimana sei uscito con il nuovo album, che pare molto diverso dal tuo primo lavoro…
«Happy Mistake è un album in linea con quello precedente. Si tratta di un lavoro eclettico e multiforme. Mi piace avere come elemento di unione la musica e la felicità di suonarla. Affronto diversi generi musicali a tinte molto diverse tra di loro e mi piace portare questi colori, senza pormi delle barriere o dei cliché».

D: Il disco si stacca dalla matrice jazz, spaziando in tutti i generi. Ti sei già posto il problema di come riuscirai a riprodurlo dal vivo?
«L’organico di musicisti che mi accompagneranno nel corso del tour sarà così completo e soprattutto sarà lo stesso che mi ha accompagnato dell’incisione del disco. Ci saranno 10 strumentisti e 3 coriste e questo mi fa ritenere che saremo in grado di proporre il tutto senza grandi problemi».

D: Parliamo del tour, che è in rampa di lancio.
«L’anteprima internazionale sarà il 28 marzo al Cafè de la Dance di Parigi dove a partire dal 2 di aprile inizierà la distribuzione nei paesi francofoni dell’album. Il disco arriverà fino in Canada. In Italia invece partirò il 6 di aprile da Senigallia. Sarà un debutto “in casa” visto che sono marchigiano. Poi proseguirò visitando un po’ tutti i teatri italiani principali».

D: Tra i brani porterai anche la cover rivisitata di ‘Luce’, brano celeberrimo di Elisa. Come mai hai scelto proprio questo pezzo?
«E’ stata una scelta naturale. Ho cercato di restare fedele al marchio di questo brano, rappresentato dalla semplicità ed intensità. Un brano con queste caratteristiche è anche molto versatile e questo mi ha permesso di rivisitarlo, facendo ragionamenti un po’ diversi dal solito. Io sono anche arrangiatore ho scelto di prendere il pezzo e portarlo in altri luoghi musicali, magari stravolgendolo, nel segno del jazz modale».

D: Pensi di incidere o regalare questo brano a qualcuno?
«Francamente non lo so, non ci ho pensato».

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